Bullismo: riconoscerlo e riconoscersi
Proprio su quest’ultima tematica occorre fare una riflessione. Al di là dei casi più gravi ed evidenti, come riconoscere il bullismo? Un ragazzino che viene preso in giro è vittima di bullismo? Uno schiaffo o una spinta data ad un compagno di classe è bullismo?
Ovviamente non si può semplificare e ridurre tutto ciò che di brutto e antipatico può accadere nelle relazioni sociali tra bambini o adolescenti alla parola “bullismo”, perchè altrimenti rischiamo di annacquare tutto.
Troppo spesso si sente parlare di episodi di bullismo perfino tra i bambini dell’asilo. È un errore, perchè la semplificazione porta a non approfondire i veri problemi comportamentali che può avere un bambino manesco o maleducato. I cui comportamenti vanno sicuramente censurati nei modi più adeguati, ma anche e soprattutto lavorando sul background familiare.
Un singolo episodio, per quanto grave, non può essere sintomo di bullismo.
La presa in giro tra ragazzini ci può stare. Non si possono certo accettare episodi di violenza, ma anche in questo caso un singolo episodio -per quanto deprecabile- non deve far scattare l’allarme “bullismo”. Alla base di una lite, di una rissa, ci possono stare una miriade di cause.
Quando nelle chat di classe su whatsapp una mamma finisce per accusare di bullismo il figlio di un’altra, facilmente si perde il senso della misura. Ci sono situazioni nate in queste chat e finite male: con insulti, querele e nei casi più estremi risse violente tra genitori.
Il bullismo è una piaga sociale, che va riconosciuta e curata. Senza generalizzare, senza banalizzare. Lasciando che siano le figure professionali preposte ad occuparsene: dagli assistenti sociali agli operatori della sicurezza. E la Polizia Locale, in quanto prima forza presente sul territorio, ha il dovere di acquisire -ove mancasse- quella formazione professionale tale nel saper gestire le situazioni di bullismo, che per la maggior parte riguardano i minorenni.
Facciamo però subito una distinzione opportuna: i fenomeni di bullismo e di baby-gang sono completamente diversi. Hanno in comune la giovane età dei protagonisti. Possono essere fasi del percorso di vita di un medesimo individuo. Ma sono due cose molto diverse tra loro, sebbene spesso se ne parli sovrapponendole senza la giusta cognizione di causa.
Il bullismo è il comportamento di prepotenza e prevaricazione, di natura fisica o verbale, caratterizzato da una molestia ed una aggressività, spesso con minacce. A differenza delle altre forme di aggressività, è caratterizzato da alcune variabili fondamentali: la intenzionalità, la reiterazione, la asimmetria di potere. Colui che compie queste azioni lo fa intenzionalmente, prendendo di mira una o più vittime da lui individuate come più deboli per aspetto fisico, per età, per emotività. Questi comportamenti vengono reiterati nel tempo. E nella maggior parte delle situazioni trovano terreno fertile nelle dinamiche di gruppo. C’è sempre un pubblico che può assistere passivamente, oppure schierarsi con la vittima, oppure ancora manifestare consenso esplicito al comportamento aggressivo fino a prendervi parte.
La reiterazione è l’aspetto più importante da tenere in considerazione. È quello lo spartiacque da utilizzare per comprendere se ci si trova di fronte ad un episodio di bullismo.
La presa in giro, la parolaccia, il verso fatto alle spalle, lo sghignazzare. Sono comportamenti poco felici. Ma quando prendono di mira la stessa persona ripetutamente è evidente che siamo in una fase ormai evidente di bullismo. A cui possono seguire gli stadi più gravi: minacce, danneggiamenti di libri, quaderni, zaini, ma anche violenze fisiche, estorsioni ed indebite appropriazioni di denaro, vestiti, perfino scarpe. Merita una futura riflessione specifica tutto ciò che accade attraverso i social: il cosiddetto cyberbullismo.
Se è una operazione delicata riconoscere la vittima di bullismo, che tende ad isolarsi, ancora più difficile è per il bullo riconoscersi tale.
Mica un ragazzino si sveglia una mattina e decide di diventare un bullo. O nel caso di una ragazza una bulla. E non vi sorprenderà sapere che gli episodi di bullismo riguardano indistintamente sia i maschietti che le femminucce. Anzi, va detto che mentre nei primi prevale l’aspetto più fisico della violenza, nel gentil sesso prevale una perfidia verbale e comportamentale ancora più velenosa.
Il bullo inizia ad essere bullo senza rendersene conto. Spesso lo fa per sconfiggere i propri limiti caratteriali, la propria frustrazione individuale, per superare la debolezza che deriva da situazioni familiari pesanti che si porta dentro. Non a caso prende di mira il più debole. Tutto inizia per strappare una risata agli altri. Per farsi notare, per risultare simpatico. Ecco spiegato perchè ha sempre bisogno di un pubblico. Quando il bullo si accorge di aver fatto qualcosa che agli altri è piaciuto, tende a rifarlo. Un buffo soprannome dato ad un compagno di classe, una battuta sul suo aspetto fisico o sulla sua provenienza sociale o familiare: uno scherzo che reiterato nel tempo diventa vera e propria molestia. Il bullo continua a farlo quasi senza rendersi conto della sofferenza che sta provocando alla vittima. Certo, in alcuni casi può prevalere un sadismo intrinseco alla personalità. Ma spesso il bullo lo fa non per arrecare sofferenza ma per sopravvivere al proprio disagio interiore, per apparire bello agli occhi degli altri che ridono e lo incoraggiano.
Una corretta educazione di contrasto al bullismo deve partire da queste considerazioni. Occorre che ci sia una diffusa condanna sociale degli episodi di bullismo. Chi assiste a simili episodi deve mostrare il proprio sdegno, deve solidarizzare con la vittima ed isolare il bullo. Quando al bullo viene meno il consenso del pubblico, viene meno tutto. Dobbiamo insegnare ai ragazzi l’autocontrollo. Devono capire che in tutti i comportamenti c’è un limite che non va superato. Lo scherno, la battuta, la goliardata ci sono sempre state ed è giusto che continuino ad esserci anche per formare il carattere di chi le subisce. Ma la reiterazione è molestia. L’asimettria di potere, ovvero l’azione fatta da chi è più grande o più forte, è pura vigliaccheria.
Il bullo non è un delinquente che va represso, ma un soggetto fragile che va aiutato al pari della sua vittima.
La vittima di bullismo merita infine una particolare attenzione. Tende ad isolarsi, a nascondere ciò che accade ai propri familiari perchè se ne vergogna, subentrano sensi di colpa, quasi che sia la propria debolezza a generare le cattiverie e le violenze degli altri. La vittima non comprende l’odio e l’emarginazione che le vengono inflitte, farebbe addirittura qualsiasi cosa pur di iniziare a piacere ai propri aguzzini, perfino azioni estreme come prove di coraggio o piuttosto di vera e propria incoscienza: camminare su un cornicione, tuffarsi da un balcone, arrampicarsi su un palo della luce. Oppure si ha la reazione opposta: non più il desiderio di piacere agli aguzzini ma il solo bisogno di farli smettere, ad ogni costo. Anche ricorrendo alla violenza, non per vendetta ma per esasperazione. Così la vittima rischia di diventare ancora più pericolosa dei suoi aguzzini con reazioni che possono all’esterno sembrare addirittura spropositate ma che nella testa della vittima sono parametrate al cumulo delle sofferenze patite nel tempo.
Tristezza, depressione. Cicatrici che restano nel tempo e che segnano indelebilmente la vita ed il carattere di chi le ha subite.
Ecco perchè è fondamentale parlare di queste cose. Chi è vittima di bullismo non deve essere lasciato solo. Bisogna dargli l’opportunità di parlare, di raccontare, di affrontare e superare ciò che si è subito.
dott. Andrea Santoro
Comandante della Polizia Locale di Polla (SA) - già Comandante delle Polizie Locali di Quarto (NA) e Orta di Atella (CE) - Docente di Tecniche Operative della Scuola Regionale di Polizia Locale della Campania