Generazione Alpha: gli screenagers e la deregulation etico-sociale
Quando un genitore esamina la generazione dei propri figli lo fa sempre con uno sguardo particolarmente critico. Questo è sempre stato e sempre sarà. Io, classe ‘76, ricordo bene quando mia nonna o i miei genitori criticavano gli usi ed i costumi di noi adolescenti a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. In particolare la nostra “indolenza”... Loro venivano dalla guerra, dagli anni difficili della ricostruzione post-bellica. Loro avevano conosciuto la fame ed il bisogno di lavorare fin da giovanissimi. Per loro era inconcepibile vedere una generazione di ragazzi attaccati ai primi videogame pixellati, attaccati ai cartoon in TV o ai telefilm americani… Eppure quello era il mondo che avevano costruito per noi. Un mondo di benessere, di guerre lontane, sebbene sempre presenti nel mondo, solo un pò più in là…
Devo ammetterlo: la mia generazione è stata fortunata. I giovani italiani nell’ultimo ventennio del ‘900 hanno fatto la bella vita, come ricordano tante canzoni nostalgiche... Bastava una Vespa special o una moto 125 per sentirsi appagati, per avere le chiavi del mondo. Non abbiamo dovuto vivere la guerra come i nostri nonni. E neanche le difficoltà ed i sacrifici dei nostri genitori. Tutto sembrava filare liscio, il consumismo dilagava e la globalizzazione sembrava avere effetti positivi: il muro di Berlino cadeva, la Coca Cola ed i Mc Donald’s invadevano la Mosca sovietica…
Ma basta parlare di noi. È il caso di riflettere sui nostri figli. Sul mondo che stiamo consegnando loro. Perchè li possiamo criticare quanto vogliamo, possiamo arrivare a non comprendere o addirittura a volte disprezzare i loro comportamenti. Ma non possiamo cambiarli. Possiamo però cambiare noi stessi e cercare di cambiare la società che gli stiamo consegnando in eredità.
Qualcuno si è divertito a dare dei nomi alle generazioni… I nati nel nuovo millennio si dividono tra la Generazione Z (quella a cavallo tra i due millenni) e la Generazione Alpha, i nati dal 2010 in poi, i neo adolescenti di oggi. Prima di loro c’è stata la Generazione Y, quella dei Millennials. Io andando a ritroso apparterrei alla Generazione X. Lo ricordo perchè la X Generation mi ricorda tanto gli X Files di cui molti di noi andavano matti… Ma lasciamo Mulder e Scully da parte per questa volta.
La Generazione Alpha dicevamo. Amanti dei neologismi hanno voluto inventare una etichetta specifica per queste ragazze e ragazzi. Li hanno battezzati “screenagers”. Indubbiamente gli “screen” hanno accompagnato i nostri figli dalla nascita. A chi non è capitato di vedere un bambino di tre anni cercare di fare “touch” su un monitor o un televisore? E di vedere vere arrabbiature sui loro teneri visi quando non riuscivano a cambiare canale con lo scorrere del dito? Come tanti ET, il piccolo alieno il cui indice si illuminava facendo prodigi, ormai anche noi siamo abituati a scorrere pagine e pagine di internet e social network vari sui nostri smartphone e sui nostri tablet con il “touch” del nostro dito. Ed i bambini prima ancora di imparare a parlare hanno già imparato a fare quel gesto. Perfino i nuovi giochi sotto i 36 mesi iniziano ad adattarsi. Perchè ormai l’abitudine di dare un telefono in mano ad un bambino, per farlo vedere dai nonni in videochiamata o per fargli vedere la canzoncina del momento sono gesti di routine.
Ad ognuno il suo uso dello smartphone. I bambini di due o tre anni ascoltano le canzoncine. Quelli più grande iniziano a seguire i cartoni animati. Poi si passa agli youtuber per bambini. Poi si entra nella sfera dei social. I giovani su Tik Tok. Quelli più grandi con Instagram. Ma anche i vegliardi boomer vivono su Facebook e non disdegnano invasioni di campo nei social dei propri figli, al netto di chi cerca di darsi un tono seguendo Twitter, pardon Elon Musk: X... Tutto passa su quegli “screen”, tutto rolla via in pochi secondi con uno scorrere del dito.
Fermiamoci un attimo al gesto del nostro polpastrello. Alla velocità di questo gesto. Basta un attimo e si passa da un contenuto ad un altro. Contenuti per la stragrande maggioranza dei casi demenziali. Ma che tengono inchiodati i nostri figli (si, anche molti adulti ma questa è un’altra storia da raccontare) ore ed ore nel nulla più assoluto. Si potrebbe tirare in ballo il pifferaio magico. Se non fosse che queste cattive abitudini le abbiamo insegnate proprio noi…
Il bimbo piange? Piazzagli il tablet in mano e si starà buono. I ragazzi danno fastidio con urla e schiamazzi quando giocano? Piazzagli uno smartphone in mano e si calmeranno.
Però poi vai in pizzeria e vedi al tavolo accanto a te una comitiva di ragazzine e ragazzini che per tutta la serata non si parlano tra di loro perchè ognuno è assorto nel proprio smartphone.
Prima di giudicare i nostri ragazzi faremmo bene a fare un pò di autocritica.
Perchè, smartphone a parte, i modelli sociali che seguono sono quelli che gli abbiamo lasciato. Sono gli adolescenti ad essere nati maleducati e violenti? O piuttosto pagano le conseguenze di quella che definirei la “deregulation etico-sociale” dei nostri tempi? Quando la famiglia, la scuola e perfino lo Stato vengono minati della loro autorevolezza è inevitabile avere delle conseguenze, con aumento di arroganza, prepotenza e senso di impunità diffusa. Ma quando è iniziata questa deregulation? Forse proprio in quegli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, con l’avvento di un certo liberalismo spinto, trasversale alle parti politiche, probabilmente anche necessario in quei tempi, ma sicuramente non governato nel modo giusto. Certo, il liberalismo è di fondo contrapposizione al potere. Ma senza il giusto equilibrio può sfociare in una vera e propria anarchia. Che forse è un pò quella che stiamo vivendo oggi. Un'anarchia non politica e sicuramente non economica. Ma etica e sociale sicuramente. Parlando con i ragazzi di oggi (che, con buona pace di tutti e tutte, non siamo noi quarantenni!) è evidente la loro convinzione che sia un loro “diritto” essere liberi di fare ciò che vogliono. Forti di modelli sociali veicolati in ogni modo e con ogni mezzo di comunicazione. Emblematica la crescente ondata di odio contro il “patriarcato” degli ultimissimi tempi. Mi fa sorridere. Ma davvero qualcuno ha il coraggio di ritenere che la società italiana sia ancora una società patriarcale? Certo, esistono sacche di territorio in cui le famiglie hanno ancora quella connotazione, ma stiamo parlando di una sparuta minoranza. Oggi i figli fanno quello che vogliono e nessun padre ha più l’autorità per dire ad un tredicenne cosa deve fare. A meno che non riesca a spiegargli cosa sia giusto fare e cosa no. E forse siamo arrivati al punto di arrivo di questa riflessione. I padri come le madri, le famiglie come gli insegnanti, devono ritrovare la loro autorevolezza con il dialogo con i ragazzi. La società patriarcale, nel senso di una famiglia in cui il padre comanda e dispone della vita degli altri componenti in quanto “capo”, non è più accettabile. Ma neanche è accettabile che la famiglia sia una semplice condivisione dello stesso tetto da parte di alcuni individui che a stento si salutano quando si incontrano in un corridoio. Un genitore, padre o madre che sia, ha il dovere di dedicare il giusto tempo alla educazione dei figli. Non significa stare come un gendarme a controllare che studino. Significa parlare con loro. Spiegare l’importanza di avere delle regole condivise e la convenienza di tutti nel rispettarle. L’importanza del rispetto del prossimo, di chi è più debole. Perchè ognuno di noi ha le proprie debolezze, fisiche o anche emotive.
Lasciamo pure che i nostri “screenager” vivano la propria esistenza con gli smartphone perennemente in mano. Ma non lasciamoli soli. Dedichiamo loro il tempo che meritano. Spieghiamo loro le potenzialità di quello strumento che hanno tra le mani, per realizzare contenuti che vadano oltre la banalità di un balletto su Tik Tok. Interpretiamo i loro bisogni e non giudichiamo in modo troppo severo le loro abitudini. Se metti all’improvviso una diga davanti ad un fiume questo straripa e distrugge tutto ciò che ha intorno ed alla fine la diga la bypassa lo stesso. Invece di alzare una diga di sbarramento, lavoriamo giorno dopo giorno per rinforzare gli argini del fiume, così eviteremo che possa deviare all’improvviso ed allo stesso tempo potremo proteggerlo e lasciarlo comunque libero di scorrere verso il mare.
Andrea Santoro
Comandante di Polizia Locale e Docente di Sociologia della Comunicazione, Sociologia della Devianza e Tecniche Operative di Polizia presso la “Scuola Regionale di Polizia Locale della Campania”
ARTICOLO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO "IL MATTINO" il 24/02/2024